insegnamo a noi stessi e a i nostri figli a sognare E non temere il futuro.
di Silvano Ventura – direzione@viveresostenibile.net
Mi capita spesso di parlare della assoluta necessità di un “cambiamento” del nostro modello di sviluppo negli ambiti più diversi e con persone di diverse generazioni. Sempre più di frequente, con ragazzi adolescenti e giovani, sia per motivi connessi all’attività divulgativa di Vivere Sostenibile, sia perché ho due figli di quest’età. Come è facile immaginare, sono proprio i giovani, quando si entra nel dettaglio di questi argomenti, ad essere i più increduli, stupefatti e smarriti dall’ignavia e dall’incapacità di produrre un vero cambiamento, da parte dei “grandi” e poco importa se si tratta dei propri genitori o di politici o di potenti capitani d’impresa!
Chiunque sia genitore o lo voglia diventare, sente la responsabilità non solo di fare e dare il meglio ai propri figli, ma anche di lasciar loro qualcosa di bello, di utile, di prezioso. Cosa può essere più prezioso di un mondo bello, sicuro, giusto e pulito dove vivere?
Gli ultimi 50/60 anni di crescita economica basati sull’utilizzo dei combustibili fossili, hanno prodotto (in una parte del mondo, pressappoco corrispondente al 20% della popolazione globale), un innegabile sviluppo sociale ed economico, ma ora è arrivato il momento di pagare un conto “salatissimo”!
In questi ultimi anni, si stanno presentando tutte insieme, molte crisi diverse tra loro, ma strettamente interconnesse. La guerra continua che da oltre 20 anni insanguina il medio oriente e più di recente il Nord-Africa, ha come unica matrice il controllo della risorsa petrolifera. Causa morti, sofferenze e “migrazioni bibliche” di interi popoli, ma fin quando il nord del Pianeta (noi europei, l’America del nord, Cina e Giappone, Russia, ecc), baseremo la nostra civiltà del consumo e dello spreco sul petrolio, temo che la pace “non converrà” a nessuno tra i “potenti del mondo”.
Allora le soluzioni per creare un nuovo paradigma e un mondo futuro per i nostri figli, dove sarà bello vivere, devono venire da noi.
Le nostre imprese, le nostre comunità, le università, i centri di ricerca, le scuole, le associazioni, i singoli cittadini, gli amministratori, sono i soggetti che devono impegnarsi nella costruzione di un mondo nuovo.
Il primo passo è uscire dalla dipendenza dal petrolio. E’ inevitabile che questo ci causerà sofferenze e un innegabile cambiamento di stile di vita, ma le tecnologie che ci possono aiutare, non mancano!
A margine della recente conferenza sul clima di Parigi, due ricercatori californiani, Mark Jacobson e Mark Delucchi, hanno presentato uno studio dal quale risulta che entro il 2050, 140 Paesi del mondo, potrebbero produrre tutto il proprio fabbisogno energetico da energie rinnovabili.
Non entro nel dettaglio di questa notizia, che potrete approfondire sul web, ma per raggiungere questo risultato, ci sarebbe bisogno di grandi investimenti, che potrebbero essere dirottati qui, invece che sulla produzione di armi, sull’estrazione e trasporto (sempre più inquinanti) del petrolio e sulle emergenze umanitarie provocate da guerre e carestie conseguenti al controllo delle risorse “non rinnovabili” del Pianeta.
Un cambiamento profondo del nostro di stile di vita, è inevitabile! Ma è ancora possibile credere che in un mondo “globalizzato” e senza più confini, un 20% della popolazione possa vivere consumando oltre l’80% delle risorse disponibili? Come si può pensare che quasi 2 miliardi di abitanti della Terra, che vivono in povertà, accettino questo insostenibile squilibrio?
In che modo fermeremo i milioni di profughi causati delle guerre per il petrolio o dalle conseguenze del riscaldamento globale? Affonderemo tutti i barconi? Spareremo ad “alzo zero” ai disperati con i loro figli in braccio ai nostri confini?
Per fortuna, nella nostra piccola parte di mondo, non siamo obbligati a confrontarci quotidianamente con problemi di sopravvivenza o di fame o di guerra, ma dobbiamo impegnarci per trovare strategie che ci consentano di essere più efficienti ed equilibrati nei nostri consumi.
Possiamo e dobbiamo consumare meno e meglio! Rendere più efficienti e meno energivore le nostre case. Pensare e costruire prodotti più utili e longevi. Non sprecare più, che si tratti energia, cibo o cose. Dobbiamo insegnare a noi stessi e ai nostri figli di nuovo a sognare e non a temere il futuro. La vera sfida in questo pianeta sempre più piccolo, sarà far posto a 10 miliardi di esseri umani entro il 2050. Da qui ad allora, sarà inevitabile esserci liberati dei combustibili fossili, così come della paura di dover rinunciare a qualcuno dei nostri previlegi, in favore di chi non ha una vita dignitosa.
QUI E ORA Apprezzare il presente, vivere il momento, sollevare la mente dalle attese per il futuro e dai rimpianti dal passato.
di Silvano Ventura – direzione@viveresostenibile.net
E’ mattina presto. La luce i colori e i suoni di quest’alba di marzo, “sanno” già dell’estate che sta arrivando.
Sorseggio il caffè sulla terrazza, gustandomi la brezza mattutina e penso ai tanti impegni di questa giornata.
All’improvviso tutto mi sembra perfetto! E’ un lampo, un attimo di “assoluto”! Il mio corpo e la mia mente “risuonano” con le foglie mosse dal vento leggero e con il volo e il canto allegro dei passeri. E’ la felicità!
Dura solo un attimo, purtroppo… Poi la mente, ritorna a fare da padrona dei miei pensieri e tutto torna normale, razionale. Penso tra me e me: “è durato poco, ma è stato splendido”.
Mi torna alla mente una frase del Dalai Lama, che ho vista scritta in un quadretto con la sua foto, appeso in un agriturismo piemontese (che profumava molto di Tibet), in una recente visita agli amici che curano l’edizione locale di Vivere Sostenibile.
Diceva: “Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.”
E’ proprio vero, di una verità assoluta, quasi scontata!
In questa bella mattina di sole, se penso a tutte alle mie preoccupazioni, ai miei piccoli tormenti, alle mie ansie quotidiane, riesco a capire che sono in gran parte frutto della mia mente. Poi ci sono gli eventi esterni, come gli imprevisti, il comportamento del prossimo, ecc. Ma su tutto ciò, non ho comunque il controllo… Allora voglio decidere di essere, il più possibile, qui e ora. Voglio esercitarmi a dare il massimo della mia concentrazione all’ascolto, alle cose che faccio, alle situazioni che vivo, alle persone che incontro. Credo che questo possa essere anche un modo per dilatare il nostro tempo, sì, quello che non abbiamo mai… Un modo per “fissare” nella nostra memoria gli attimi della nostra vita, rendendoli più ricchi, più intensi. Più degni di essere vissuti!
L’invito a vivere con pienezza il presente, fa parte del pensiero di molti grandi saggi di tutte le epoche.
Malgrado tutta la nostra scienza e tutta la tecnologia che possediamo, o a causa di queste, siamo invece continuamente distratti dal presente e proiettati altrove con la nostra mente e i nostri pensieri.
Spesso siamo scontenti e preoccupati. Siamo qui con il nostro corpo, ma non con la mente e il cuore.
Quasi dei “bipolari”, continuamente strapazzati tra euforie improvvise e depressioni ingiustificate. Troppi “modelli” da copiare, troppi desideri da appagare, troppe cose da possedere. Troppo “apparire” e troppo poco “essere”!
Allora fermiamoci e viviamo. Qui e ora!
LA CITTA’ PIU’ INTELLIGENTE E’ QUELLA FATTA DA CITTADINI PARTECIPI E CONSAPEVOLI!
di Silvano Ventura – direzione@viveresostenibile.net
Ormai da molti anni vengono pubblicati studi di sociologi, filosofi e antropologi che sostengono la ovvia tesi che la vera felicità si trova nelle relazioni umane. Le città sono, o meglio “dovrebbero” essere progettate e costruite, per facilitare relazioni sane e soddisfacenti tra i cittadini; il tutto con grande attenzione alla qualità dell’ambiente.
Molte aree delle nostre città piuttosto che favorire una partecipazione attiva della cittadinanza e la socializzazione, sembrano però rispondere più ai falsi bisogni indotti dalla pubblicità, come “i non luoghi” rappresentati dai centri commerciali, o a stili di vita alienati e semi patologici, come ad esempio sta accadendo con la proliferazione delle sale slot.
Da alcuni decenni, le nostre città, i nostri paesi, le nostre campagne, sono diventati oggetto di scambio con il denaro di chi poteva spendere per costruire “non luoghi” per promuovere marchi e pseudo-stili di vita o costituire rendite finanziarie cementificando, spesso anche contro il più razionale buonsenso ambientale ed economico (basti pensare alle migliaia di appartamenti vuoti, o alle case e capannoni “legalizzati” da insensati condoni edilizi).
Le speculazioni degli ultimi anni, come la “bolla della new-economy”, la “bolla del mercato immobiliare” o i vari scandali su alcune imprese internazionali e anche nazionali (Cirio, Parmalat, ecc.), hanno fatto fallire il sistema e i danni sociali ed economici di tale fallimento, hanno pesato e peseranno ancora per molto tempo, sulle spalle di cittadini e imprese “sane”.
E’ riappropriandoci delle città, dei luoghi, delle periferie, delle campagne, risentendoci cittadini attivi e partecipando alle scelte dei nostri amministratori, occupandoci dei nostri “beni comuni”, entrando a fare parte di percorsi di partecipazione e associativi, che potremo porre fine alla logica dominante da decenni che ha favorito le rendite e depresso i veri bisogni delle persone.
In Italia sono molte le città con popolazione in contrazione e praticamente tutto il patrimonio immobiliare civile (circa l’80%) deve essere riqualificato per essere reso efficiente energeticamente e sicuro. Inoltre molti capannoni artigianali e industriali, a causa anche della crisi strutturale che ha cambiato il lavoro e portato in altre parti del mondo la produzione, risultano abbandonati. E’ necessario ridiscutere la realtà urbanistica e di organizzazione delle nostre città, mettendo al centro i nuovi bisogni di bambini, ragazzi, adulti e anziani perché essi possano trovare piena soddisfazione nel vivere in luoghi urbani adeguati ai bisogni reali della comunità. I nostri amministratori devono attivarsi per promuovere un processo aperto e partecipato dai cittadini per riqualificare spazi e quartieri, per ripensare a sistemi di mobilità economici e a basso impatto, per trasformare il “problema rifiuti” in una risorsa utile alla popolazione, per stimolare nuove forme di socializzazione e di economia condivisa.
Noi “cittadini” dobbiamo superare la “pigrizia della non partecipazione” e la “comodità del lamento” fine a se stesso, partecipando attivamente alla vita della nostra comunità, avviando un futuro sostenibile per le attuali generazioni e per quelle che verranno.
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A Natale regaliamoci e regaliamo del tempo
di Francesco Molan, bassopiemonte@viveresostenibile.net
A Natale giunge il momento dei regali e, come ogni anno, ci arrovelliamo su quale sia quello giusto. A seconda della nostra predisposizione, iniziamo a pensarci mesi prima o ci affanniamo all’ultimo nei negozi di centro città. Fissiamo un budget, ci chiediamo cosa possa essere utile all’interessato, oppure soprassediamo ed acquistiamo qualcosa tanto per “non andare a mani vuote”. Così succede che il regalo diventi l’ultimo fardello della nostra dispersione quotidiana, e che si manifesti l’ennesima mercificazione del desiderio di dimostrare affetto. Spesso tutto diventa così obbligato e noioso, frutto anche dei condizionamenti e della rispettabilità sociale che ci siamo faticosamente costruiti nel corso degli anni.
Come il bimbo che la mattina di Natale, poco dopo avere strappato forsennatamente la carta di tutti i regali, si ritrova a fissare il vuoto annoiato e confuso, anche noi scopriamo che quegli oggetti non riescono a darci vitalità più di qualche istante.
Sono ormai decenni che gli esseri umani sono bombardati da pubblicità che sfrutta i loro desideri spirituali inconsci per metterli al servizio degli dei del consumismo e dell’avidità.
A Natale si adorna l’albero, proprio come facciamo da tutta una vita: per anni mettiamo su addobbi e ghirlande, aggiungiamo ed aggiungiamo palline che crediamo tanto importanti e speciali. Forse per qualcuno è arrivato finalmente il momento di togliere questi addobbi superficiali, per sentirsi poco a poco più leggeri…
A volte ci sentiamo, infatti, costretti in un vaso mentre la nostra vera natura ci impone di piantare le nostre radici nella terra, quella vera, fonte di energia e calore. Questo avviene a tutte le età, non si tratta solo di un’inquietudine tipicamente giovanile: questa necessità di cambiare il paradigma avviene sempre più spesso a metà del cammino, in coincidenza della cosiddetta ‘crisi di mezza età’. Quando si iniziano a fare i bilanci di quello che è stato e di quello che resta da vivere.
E poi capita che un giorno, la cara vecchia amica Mì mi tiri fuori una delle sue “perle”: “Lo sai che in dialetto piemontese” – come anche in inglese, osservo poi io – “si dice ti faccio un presente?”. Legato quindi non ad un passato o ad un futuro, ma al momento in cui viene fatto.
E allora mi viene da riflettere che per me, forse – io, così dannatamente idealista e naif – il vero regalo che possiamo fare a noi stessi e agli altri, sia proprio il Tempo. Spesso ritorno su questo tema (vedi editoriale di VS 06, Febbraio 2016): l’occasione era troppo ghiotta, nel numero di Natale non ho potuto farne a meno…
Il Tempo – quello che è relativo, quello che dura tanto quando si è nella mente mentre vola quando si agisce con il cuore – è il miglior regalo che possiamo fare alle persone che contano per noi.
Non sprechiamolo nella rincorsa per i regali. Fermiamoci da questa corsa, dove vogliamo andare così di fretta? Sant’Agostino scriveva nelle sue Confessioni che il tempo è distensio animi, ovvero una dimensione dell’anima. Godiamoci allora il viaggio, il cammino, perchè se arriviamo subito all’obiettivo saremo costretti ad individuarne subito un altro, e poi un altro e un altro ancora… sempre di corsa.
A me piace andare lento, sono molto veloce nel farlo. A me piace godermi il tempo che mi resta per fare una passeggiata mano nella mano, per gustare un tramonto seduto su una panchina di legno, per vedere uno spettacolo teatrale di una compagnia indipendente. Non mi piace sprecarlo, anche se a volte capita!
Il Tempo è quel qualcosa che appena ci pensi, è già passato: perché è da vivere. Forse occorre davvero rimanere con quello che deve ancora succedere, che non è ancora successo, per mantenerci giovani e freschi. E allora buoni nuovi viaggi miei cari lettori, buone nuove ricerche. Non c’è fine alla vita, al tempo.
abitare felici nella vita di tutti i giorni
di Francesco Molan, bassopiemonte@viveresostenibile.net
E’ finalmente arrivato il suo momento! Rullo di tamburi… su Vivere Sostenibile ecco a voi la Bioedilizia! Scherzi a parte, da quando siamo partiti con l’avventura editoriale, insieme ai miei collaboratori mi sono chiesto: “Quando verrà il momento in cui parleremo della nostra casa, dell’energia e dell’architettura sostenibile?”. Sì, perchè qui stiamo parlando di un elemento fondamentale della nostra quotidianità. Personalmente ritengo che la qualità della nostra vita sia tanto più elevata quanto più stiamo nell’ambiente esterno. Tuttavia, negli ultimi decenni si osserva una situazione capovolta: prima si stava essenzialmente fuori e si entrava in casa per lo più per dormire, ora la maggior parte del tempo si sta in locali chiusi e quel poco che resta all’esterno. E’ emerso, oltretutto, che l’interno delle case sia più inquinato dell’esterno, benché nell’immaginario comune sia vero il contrario. Negli uffici, nelle case di cura, negli ospedali e nelle scuole sono presenti centinaia e centinaia di composti volatili che causano gravi conseguenze croniche o acute per la salute (benzene e formaldeide solo per citare i principali). Vogliamo parlare, poi, dei solventi presenti nelle colle, nelle vernici e pitture comunemente usate nella produzione di tappeti, carton gesso e mobilio in legno pressato e dell’inquinamento tecnologico proveniente da apparati moderni come i computer, i monitor e le TV?
Proviamo, quindi, ad immaginare un individuo che abbia piacere di vivere in modo sano (per quanto possibile): alimentazione naturale, esercizio fisico, pratica per lo spirito e viaggi per liberare la mente. Se però quest’individuo fosse totalmente inconsapevole dell’inquinamento domestico, se abitasse in una palazzina di cemento armato, nel centro di una città caotica e inquinata? Quale benessere netto ne conseguirebbe?
Abitare in un edificio significa conoscerne i criteri costruttivi adottati e, di conseguenza, come il complesso residenziale sia inserito nell’ambiente circostante, se ad impatto zero o meno. Altre domande da porsi: gli arredi strutturali interni assieme ai locali di abitazione saranno anch’essi ad impatto zero? Troveremo agenti inquinanti dentro e/o fuori del complesso abitativo? Le risposte – molto complesse ed articolate, per questo ci perdonerete il ritardo – si possono trovare nella Bioedilizia, che si fonda essenzialmente su tre pilastri: ambiente, salute e risparmio energetico. Essa si prefigge di ridurre i consumi delle energie non rinnovabili e di attenuare in modo significativo, mediante l’uso di materiali ecologici, gli effetti delle strutture abitative sulla salute delle persone e sull’ecosistema circostante. Mi viene in mente il tragico caso dell’amianto, di cui troviamo – purtroppo – esempi in tutto il Paese ed in particolar modo nella città di Casale Monferrato in provincia di Alessandria.
Vorrei, poi, sottolineare come i termini “risparmio energetico” e “sostenibilità” non sempre siano parte della stessa storia. Il risparmio energetico dovrebbe, a mio avviso, essere perseguito non creando delle temperature tropicali nei nostri appartamenti e adottando fonti energetiche alternative al petrolio per il riscaldamento e la produzione di energia elettrica. Avanti tutta, quindi, con fotovoltaico, geotermia e piccole pale eoliche, ovvero un insieme strategico di fonti complementari l’una all’altra, che può arrivare a sostituire quelle tradizionali (facendosi aiutare chiaramente da esperti). Dal punto di vista architettonico, invece, ampio spazio all’isolamento delle pareti con materiali naturali che non rilasciano tossine, come ad esempio la paglia, il legno e la canapa.
Secondo alcuni studi del Dipartimento Ambiente della Comunità Europea, oltre il 40% dell’energia complessiva prodotta in Europa viene consumata dall’edilizia e quest’ultima utilizza una rilevante quantità di materie prime, attorno al 50%, prelevandole dalla natura. In Italia esiste un immenso patrimonio abitativo da ristrutturare: è sull’esistente che si dovrebbe intervenire, ove possibile, favorendo a livello pubblico incentivi economici e forme di defiscalizzazione delle spese relative. Ma è anche compito dell’informazione dare messaggi chiari ai cittadini, svincolandoli, se possibile, dalla paccottiglia di termini e definizioni sterili, quali green economy, bio e eco. Personalmente sono stufo della mercificazione del benessere: abitiamo al meglio la nostra vita, che non ne abbiamo altre da sprecare inquinandole con l’avidità ipocrita di coloro che comunicano estetica e non sopravvivenza biologica.
Buon ritorno dalle ferie e buona lettura di Vivere Sostenibile di Settembre/Ottobre!
Lo spreco alimentare, paradosso globale
Ovunque guardiamo, c’è molto più cibo di quello che possiamo consumare. Lo spreco alimentare a livello mondiale raggiunge delle cifre spaventose. Secondo i dati delle Nazioni Unite, un terzo del cibo prodotto viene sprecato, perso o buttato via, nell’intera filiera che va dalla produzione al consumo finale sulle nostre tavole. Il paradosso sta nel fatto che, attualmente, oltre 800 milioni di persone soffrono la fame! Basterebbe circa la metà del cibo sprecato e buttato in Occidente, a spegnere il problema della fame nel mondo. Sarebbe bello spedire il cibo che abbiamo in più nella nostra dispensa ai “poveri affamati” e risolvere così il problema, ma viviamo in un mondo complesso, che richiede soluzioni articolate, intelligenti e… semplici! La produzione del cibo mondiale è principalmente rivolta ai mercati ricchi. Produrre cibo richiede risorse: prima di tutte acqua (oltre il 60/70% di quella che consumiamo serve a questo scopo), carburanti fossili che producono emissioni di CO2, contribuendo al surriscaldamento globale. Nel 2050, sulla Terra, ci saranno oltre 9 MLD di persone e, nell’anno seguente all’EXPO, tutti si dicono preoccupati di come nutrirle. Si parla di aumentare la produzione di cibo, di raddoppiarla! Questo grazie al largo uso di OGM e con un apporto massiccio di agenti chimici di vario genere. Contesto questa tesi! Credo che si debba pensare e agire in termini di efficienza nell’intera filiera alimentare: dalla produzione alla conservazione, dalla distribuzione fino all’uso finale del cibo. Se nei paesi in via di sviluppo l’efficienza in questo campo passa dal fornire loro le macchine, le tecnologie e gli impianti di trasformazione e conservazione del cibo, perchè gli sprechi maggiori sono nella parte iniziale della filiera alimentare, noi “occidentali” possiamo e dobbiamo essere più consapevoli e accorti nelle nostre scelte di acquisto e di consumo quotidiano. Ecco qualche idea che può contribuire alle nostre scelte consapevoli:
• Autoproduci una parte (anche piccola) del tuo cibo. Orti condivisi, angoli del giardino anche condominiale, cooperative di cittadini bioagricoltori (come Arvaia a Bologna), ma anche il balcone va benissimo per autoprodursi una parte del proprio cibo e trarre da ciò anche una buona dose di autostima!
• Mangia BIO più che puoi. I prodotti BIO, non contengono agenti chimici e hanno utilizzato meno risorse del pianeta per essere prodotti.
• Acquista prodotti a km0 da agricoltori locali. Rivitalizzerai così l’economia locale, mangiando prodotti sani, buoni, di stagione e appena colti!
• Compra di meno e meglio! Abituati ad acquistare meno cibo e impara ad utilizzarlo tutto. Ogni spreco è immorale ed insostenibile per il pianeta.
• Compra sfuso! Gli imballaggi spesso sono inutili e di certo vanno ad aumentare i rifiuti del nostro pianeta.
• Avvia un’iniziativa di “food-sharing”. Scambia il cibo in più con i tuoi vicini di casa o con i tuoi amici. Oltre a risparmiare, assaggerai piatti nuovi eavrai bellissime occasioni di socialità e di condivisione!
In questo nuovo numero di Vivere Sostenibile Basso Piemonte troverete una bella panoramica sull’Alimentazione Naturale: ricette, consigli e pratiche per nutrirsi e curarsi con il cibo. Buona lettura e buone vacanze, ci rivediamo a Settembre!
di Silvano Ventura, direzione@viveresostenibile.net
un mare di plastica
Buongiorno a tutti cari lettori di Vivere Sostenibile Basso Piemonte. La tanto agognata Primavera è arrivata e, nonostante i “mal di pancia” causati dagli ultimi eventi referendari, siamo pronti per affrontare la Bella Stagione con nuova linfa e vitalità. La nostra Redazione, approfittando forse del periodo (ideale per depurarsi dalle fatiche invernali), si ri-lancia con una nuova formula – bimestrale e più corposa – continuando a proporsi come aggregatore d’iniziative positive e virtuose sul territorio del Basso Piemonte. Giusto dodici mesi fa iniziava la nostra avventura con il primo numero di Maggio/Giugno 2015: forse alcuni di voi ricorderanno la foto in copertina, che riportava un ragazzo che si accingeva ad una rincorsa per saltare dall’altra parte. Ebbene, da allora i vostri apprezzamenti e attestati di stima ci hanno accompagnato in questo anno intenso d’incontri, presentazioni, scambi, abbracci. Un anno meraviglioso. Siamo consapevoli di essere ancora all’inizio e forse saranno necessari altri assestamenti prima di poter atterrare dal Salto. Noi continueremo ad impegnarci ogni giorno per divulgare le attività che ci piacciono di più, che promuovono uno stile di vita più sano e sostenibile. Il nostro intento è fornire uno strumento d’informazione accessibile a tutti e apprezzabile da coloro che si fanno domande e non vivono la propria quotidianità in modo passivo o indifferente. Vorremmo mantenere il progetto editoriale completamente gratuito e pensiamo che questa formula sia l’unica a non dover cambiare. Su questo ci crediamo e non molliamo. E allora, cari lettori, continuate a seguirci in questa nuova forma e sosteneteci… vi saranno sufficienti 4 pagine in più e un restyling grafico per attenderci un mese in più? Noi speriamo di sì! Nell’attesa, vi penseremo come sempre con il sorriso sulle labbra. Ci ritroviamo a Luglio, allora… godetevi intanto questo numero di Maggio/Giugno con lo Speciale Vacanze Sostenibili! Grazie.
Se avevate bisogno di un nuovo motivo per entrare in depressione, ve lo do io: secondo un nuovo e scioccante studio (elaborato dal World Economic Forum e dalla Ellen MacArthur Foundation) entro il 2050, siamo “sulla buona strada per avere più plastica che pesce, in peso, negli oceani di tutto il mondo”. Questa tesi si avvale della previsione secondo cui la plastica – la cui produzione è già aumentata di 20 volte negli ultimi 50 anni – raddoppierà ancora entro i prossimi due decenni.
Non c’è male come “buongiorno”. Vi chiedo scusa, negli ultimi anni mi sono detto di stare alla larga da queste considerazioni catastrofiste. Ma in questo caso vorrei condividere il mio (e spero anche vostro) disgusto. La notizia mi fa riflettere per una serie di motivi: non solo perchè la plastica è un pugno in un occhio a vedersi galleggiare in acqua; non solo perchè ha un profondo impatto sull’ecosistema che va ben al di là della quantità (e qualità) di pesce e mammiferi acquatici compromessi (che ingeriscono pensando che i brandelli di plastica siano cibo): ciò richiama l’attenzione sulla nostra dipendenza nei confronti di questa roba e di quanto sia difficile “farne a meno”.
Il fatto che la metà dei rifiuti di plastica degli oceani provenga da cinque paesi (Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam) non so voi, ma non mi solleva dalla questione: in primo luogo perchè la loro spazzatura spesso proviene dai nostri usi e consumi; in secondo luogo perchè il loro disagio non può che essere anche il nostro. Ma le avete mai viste le immagini delle persone che frugano e recuperano pezzi dalla spazzatura, senza alcuna sicurezza sulla tossicità dei rifiuti?
Ma più di tutto è necessario proporre delle soluzioni affinchè sia prolungato il ciclo di vita dei materiali di plastica in modo che non diventino semplicemente rifiuti monouso. E, quindi, il comportamento del consumatore diventa chiave nell’ottica di cambiare le suddette previsioni.
Secondo gli esperti, sono cinque gli accorgimenti che possiamo attuare in questo momento per ridurre i rifiuti di plastica:
Riciclare. Informarsi sul programma di riciclo della comunità, in modo che i materiali riciclabili vengano raccolti per il riutilizzo. In caso contrario, contribuire a crearne uno.
Portare le proprie borse. Custodire le proprie borse riutilizzabili per fare la spesa.
È facile e non costa nulla: quelle di stoffa, se opportunamente piegate, occupano poco spazio sia in auto che a casa.
Acquistare lo sfuso. Una parte dei negozi di generi alimentari (bio o non bio) ha scompartimenti per il riso, i cereali, la pasta, la farina e le spezie. Lo stesso vale per i detergenti e detersivi. Portare il proprio contenitore consente di risparmiare risorse e denaro.
Abbigliamento e cura della persona. Vi siete mai chiesti di cos’è fatto il vostro maglione o il tappetino di Yoga? Acrilico vi dice qualcosa? Oppure, vi siete mai domandati se vi è traccia di plastica nella vostra crema corpo? Ebbene, essendo così versatile e poco costosa, la risposta è sì. Privilegiate la cosmesi naturale, allora: si tratta pur sempre della vostra pelle, no?
Autoprodurre. Ridurre l’acquisto di piatti pronti e/o confezioni che non sappiamo come differenziare e/o smaltire. Invece che acquistare detergenti per la casa, provate a farveli voi utilizzando parti uguali di aceto bianco e di acqua (con l’aggiunta di oli essenziali per il profumo). Si tratta di una buona (ed economica) soluzione per rendere la vostra casa meno tossica, oltre a riutilizzare in più occasione la stessa bottiglia anzichè doverne acquistarne una nuova.
Utilizzare barattoli o confezioni richiudibili per la conservazione dei cibi. I vasetti di vetro sono un’alternativa ecologica per mantenere gli avanzi. Se non si può fare a meno dei vasetti di plastica, per lo meno lavateli e risciaquateli: è sempre meglio che comprarne di nuovi!
Ma concedetemi di spostare la riflessione sul fatto che la plastica non può essere etichettata come “nemico” in senso univoco. Nessuno di noi può negare gli effetti positivi che essa ha avuto sulle nostre vite. Nel suo libro del 2011, Plastic: A Toxic Love Story, Susan Freinkel mostra il ruolo importante che la plastica ha giocato nel plasmare il nostro mondo attuale. “Dove saremmo senza caschi, spazzolini da denti o pacemaker?”
Ed infatti, provate a pensare alle attrezzature di un’ospedale o di una clinica. Tutto è di plastica! E noi siamo – quasi tutti – nati in un ospedale o in una clinica (e probabilmente ci moriremo anche). Ma io mi chiedo: qualcuno si è mai chiesto come verrà smaltito tutto ciò? Perchè purtroppo la maggior parte non viene riciclata (lo stesso studio a cui mi riferisco svela che solo il 14 per cento della plastica viene riciclata, mentre il 70 per cento finisce nelle discariche o, appunto, in mare).
D’altra parte, io stesso sto scrivendo su un laptop in gran parte costituito di plastica, su una scrivania che immagino sia anch’essa rivestita dello stesso materiale, muovendo un mouse di… plastica! Aiuto! Il punto è che la maggior parte di noi non può astenersi tutto a un tratto della plastica, anche volendo. Se alcuni di noi ci riescono bravi loro, perlomeno ciò non accade per il resto della popolazione mondiale. Ci vuole educazione ed informazione. Maestri, scuole… dove siete?
Mentre possiamo e dobbiamo esigere di più dalla nostra attitudine al riciclo della plastica, abbiamo anche bisogno di una legislazione che supporti questa green wave e tecnologie alternative a quelle che impiegano materiali plastici: in particolare, quelli migliori per il pianeta, per esempio biodegradabili; materiali in grado, quindi, di ridurre il rischio di far diventare i nostri oceani delle discariche galleggianti.
Ciascuno di noi, oggi, deve fare la propria parte. Smettiamo di comprare vestiti con fibre di plastica. Compriamo verdura fresca con la nostra borsa di stoffa multi-uso. Perchè in questo momento otto milioni di tonnellate circa di spazzatura finisce negli oceani di tutto il mondo.
Buon mare e buone nuotate a tutti.
di Francesco Molan, bassopiemonte@viveresostenibile.net
il paese delle trivelle
il 17 aprile si vota per il referendum sulle trivellazioni. vai a votare!
Nonostante la corposa tornata amministrativa di giugno, quando andranno al voto milioni di italiani in città come Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna, sarà il prossimo 17 aprile la data nella quale si terrà il referendum sullo stop alle trivellazioni. Questa scelta di data che costerà alle casse dello Stato (e quindi alle nostre tasche) un aggravio di 300/400 milioni, appare giustificata solo dalla volontà che il referendum non raggiunga il quorum e quindi si trasformi in un flop.
Purtroppo si arriva al referendum senza che alla gran massa degli elettori, sia arrivata un’informazione corretta su questo tema importante per le conseguenze sull’ambiente e sull’economia del Paese. Personalmente ritengo che i media tradizionali, asserviti a logiche di schieramento, facciano una continua opera di “distrazione di massa”, utile e spesso indispensabile alla serenità di chi “guida il vapore”, ovvero di chi gestisce il potere e perciò agisce sulla nostra vita quotidiana.
Le ragioni di chi è favorevole alle trivellazioni, sono le solite: lo sviluppo, la crescita economica e, come sempre, l’occupazione. Ancora una volta sostengo con forza che l’economia, lo sviluppo e l’occupazione, sono conseguenza diretta delle scelte di politica economica. Se si investisse di più in ricerca ed applicazione delle energie a impatto zero, se si aumentassero gli sgravi per la riqualificazione edilizia di un patrimonio immobiliare nazionale all’80% in classe energetica “G”, se si costruissero e si ammodernassero le infrastrutture per spostare le merci su rotaia e quelle informatiche, se si puntasse di più su un’agricoltura pulita, sostenibile e libera da fitofarmaci, se si facesse una vera lotta agli sprechi di merce e di beni, dai carburanti fossili sprecati per riscaldare case e industrie “colabrodo”, al cibo prodotto, consumato in eccesso e fatto marcire per logiche mercantili, ebbene se si facesse tutto questo, non ci sarebbe alcun bisogno di cedere agli appetiti ingordi delle multinazionali del petrolio, pezzi di “Bel Paese”, perché vengano massacrati alla ricerca di idrocarburi. Pare che coloro che ancora sostengono l’uso e l’abuso dei carburanti fossili, vivano in un mondo parallelo, dove non si è mai sentito parlare di “riscaldamento globale”. Forse a codesti signori, ancora non è chiaro che esiste una conseguenza diretta tra il bruciare petrolio e derivati e aumento della temperatura globale!
Perciò è importante il nostro piccolo referendum! Perché se vogliamo pensare a un nuovo modello di sviluppo davvero sostenibile per l’ambiente e la società a livello globale, dobbiamo iniziare a dare segnali forti a livello locale! Dobbiamo iniziare a dire a chi governa l’economia, che ci possono essere strade alternative a quella che in 50 anni ha devastato il Pianeta, esasperato le disparità sociali, provocato e alimentato guerre e migrazioni di massa e arricchito una manciata di super-ricchi, affamando gran parte degli abitanti della Terra.
di Silvano Ventura, direzione@viveresostenibile.net
ELOGIO ALLE DONNE
di Francesco Molan, bassopiemonte@viveresostenibile.net
Non, Rien de rien
Non, Je ne regrette rien
Ni le bien qu’on m’a fait
Ni le mal tout ça m’est bien égal
Edith Piaf – Non, Je Ne Regrette Rien (1956)
Le Donne di oggi sono la vera risorsa del nostro presente. Se ci sarà un futuro migliore, sarà grazie a loro, perché capaci di mettersi in gioco e vivere, da attrici consapevoli, questa fase di cambiamento. Secondo voi, quale sarà la percentuale di genere tra vegan, agricoltori biologici o iscritti a corsi di Yoga? Dove penderà l’ago della bilancia? L’uomo oggi sembra sempre di più rassegnato a rappresentare l’icona del sesso debole: arranca, spaventato com’è dall’economia e dalla politica internazionale, cercando (senza trovarla) una soluzione dove non serve più, ovvero nella dimensione intellettuale ed analitica.
Ma perchè, vi direte, quest’elogio alle donne? Non starà esagerando? Non lo so, ma “devo” questo elogio a tutte quelle Donne che, da diversi mesi, sono entrate nella mia quotidianità. Senza di loro, senza la condivisione di valori importanti, tanto di ciò che vivo ogni giorno sarebbe impossibile.
“Le donne reggono il mondo”, così recita un libro che mi è capitato tra le mani qui in Cooperativa (edizioni Altreconomia). Perché? Beh, semplice: oltre a lavorare di più degli uomini e farsi carico della maggior parte delle incombenze domestiche, le donne gestiscono l’economia con più lungimiranza, qualità peraltro molto importante in una situazione di crisi economica, culturale e sociale come quella attuale. Nelle popolazioni meno fortunate (ma in realtà anche in quelle più fortunate, se pensiamo al fenomeno del gioco d’azzardo e alle scommesse sportive) provate a dare la stessa somma di denaro ad una donna e ad un uomo, e vedrete come sarà “investita”.
“Guardare il mondo attraverso gli occhi di una donna significa introdurre radicali trasformazioni tra le certezze del mondo moderno: per loro il benessere va rimesso al centro della società”: così recita il libro sopraccitato. E difatti riconosco quanto nelle donne vi sia poco del bieco individualismo, utilitarismo e senso della concorrenza dello sparring partner maschile. Non che sia mia intenzione etichettarle come più intelligenti o più buone degli uomini; forse, semplicemente, occupandosi di “tanto di più” rispetto ai mariti, si trovano in una posizione dalla quale possono vedere i limiti di questa economia così artificiosa ed insignificante; la speranza è che sempre più uomini (e ce ne sono, per carità!) comprendano che lo stare bene nella vita quotidiana dipende sempre più da elementi quali relazione, comunità, irrazionalità, empatia, dono… tutti elementi che mi auguro emergano sempre di più dalla crisi/opportunità in cui ci troviamo.
Potrebbe essere una visione un po’ semplicistica, lo ammetto, tuttavia sono in molti a credere che la crisi sia stata causata da una visione maschile del mondo. In questo momento c’è bisogno di una nuova visione dell’economia e della società, improntata su principi tipici della componente femminile: un forte elemento Yin (femminile) che vada ad equilibrare l’elemento Yang (maschile), che ci ha guidati verso un sistema economico parziale, ingiusto e insostenibile.
La tipica visione al femminile della società porta a chiedersi: non è preferibile riportare l’attenzione all’assistenzialismo e all’educazione, e quindi a mestieri quali infermiere, operatrici sanitarie e maestre di scuola, rispetto ad agenti di borsa o banchieri (mestieri tipicamente maschili)? Mi chiedo, inoltre: perché le cose a cui viene stabilito un prezzo dal mercato, dovrebbero avere un valore superiore a quelle che non hanno un prezzo? Soprattutto se quest’ultime risultano essere la cura dei figli e dei malati o la produzione di cibo?
E allora, cari lettori e lettrici, concedetemi questo elogio alle Donne, senza giudicarmi o prendermi per eretico.
Se si guarda negli occhi di una donna, si vedrà in profondità l’anima della creatura divina che sta davanti a noi. Ci sbaglieremmo di grosso nel pensare che non sia di questo mondo. Lei è un Essere etereo ed è un dono che merita di essere protetto. Permettetemi di onorare le donne nere, le donne musulmane, le donne indigene, le donne trans, le povere donne migranti con bambini piccoli, le prostitute, le donne maltrattate, le donne la cui voce è stata soffocata da decenni e decenni di violenze. Queste sono le donne che non mollano mai, nonostante tutto e tutti.
Vorrei onorare le donne perché vivono il presente per creare un mondo migliore – in cui vi sia giustizia, uguaglianza e libertà per tutti – che espandono la propria consapevolezza oltre allo stesso presente (perché bisogna pensare al domani), al di là della propria esperienza individuale (perché bisogna considerare anche gli altri), al di là del proprio Io (perché bisogna rimettere il focus delle nostre azioni sul cuore).
Io onoro quelle donne che cercano di essere perfette, perché a loro non hanno mai insegnato che sono favolose così come sono e anche quelle che non cercano di esserlo, perché preferiscono impiegare il proprio tempo in maniera diversa.
Io onoro le donne, perchè costruiscono ponti laddove c’è separazione: loro sì che sanno, nonostante le inevitabili differenze, quanto apparteniamo gli uni agli altri.
Io onoro le donne, perché sono “vere”, perché riescono a camminare con il cuore pieno di cicatrici, nonostante le paure e le incertezze. Ma eccole, sempre loro, ad iniziare con un “buongiorno” la mattina, muovendo il primo passo della giornata verso l’Unione, la guarigione e l’Amore.
Io onoro le donne, perché amano e continuano ad amare questo mondo lacerato dalla sofferenza, perché è pur sempre l’amore la forza che alimenta le nostre azioni.
Io onoro le donne, perché si sacrificano, perché danno, perché piangono. Perchè vanno avanti con fierezza, talvolta un po’ selvagge, sicuramente libere.
Ogni donna merita di essere amata. Ogni donna merita che le venga riconosciuta che la sua esistenza è preziosa. Se anche una donna ci sembra inferocita o chiassosa, all’interno sarà vulnerabile, come tutti.
Camminiamo insieme a lei. Guardiamo dentro di lei. Adoriamola, chiunque sia. Lei ci capiterà una volta nella vita. Lei è tutto. Siamone degni.
LA MALATTIA DI ESSERE COSTANTEMENTE OCCUPATI,
DI NON AVERE TEMPO
“Every year is getting shorter, never seem to find the time
Plans that either come to naught or half a page of scribbled lines
Hanging on in quiet desperation is the English way
The time is gone, the song is over, thought I’d something more to say
Time – Pink Floyd
Pochi giorni fa ho incontrato una cara amica. Le ho chiesto come stava. Lei ha alzato gli occhi e lo sguardo e con calma ha sospirato: “Sono molto occupata… anzi, occupatissima… non ho tempo per nulla”. Poco dopo, chiedo ad un altro amico: “Come stai?”. Anche in questo caso, stesso tono e stessa risposta: “Sono molto occupato, ho molto da fare.” E, per carità, si vedeva che era stanco, quasi esausto.
Ma questo succede anche con i bambini, non è una prerogativa solo dei grandi. Le cattive abitudini iniziano presto, a quanto pare. Ma come ci siamo ridotti a vivere così? Quale forma di masochismo ci ha condotto a tutto ciò? Quand’è che ci siamo dimenticati che siamo “esseri” umani e non “macchine” (dis)umane?
Dov’è finito quel mondo in cui i bambini erano pieni di fango e sbucciature, perché giocavano fuori in cortile e si lamentavano ogni volta che si sentivano annoiati? Dov’è finito il mondo in cui ci si poteva sedere a fianco delle persone che amiamo, in cui si avevano lunghe conversazioni, senza fretta? Com’è che abbiamo creato un mondo in cui abbiamo sempre più cose da fare e meno tempo libero per farle? Ma anche e soprattutto per pensare, per stare da soli?
Socrate disse: “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”. Ma come facciamo, se siamo costantemente impegnati? Questa malattia di essere “occupato” è distruttiva per la nostra salute, perché perdiamo la capacità di concentrarci su coloro che amiamo e di diventare il tipo di società che vorremmo.
Il progresso tecnologico iniziato con gli anni ’50 ci aveva promesso vite più facili, perché più comode, rapide e, quindi, più semplici. Mi pare che le promesse non siano state mantenute. Per i più “privilegiati”, i confini tra lavoro e vita personale sono scomparsi: smartphone e tablet ci obbligano a rimanere tutto il tempo “connessi”. È progresso culturale questo? Per altri, invece, due lavori sottopagati sono l’unico modo per mantenere a galla la propria famiglia.
Io non ho soluzioni magiche (e chi ce le ha?). Tutto quello che so è che stiamo perdendo la capacità di vivere una vita piena. Mi piacerebbe che, quando chiediamo: “Come stai?”, chiedessimo davvero come stai, perché io voglio sapere come stai adesso. Dimmi cosa dice il tuo cuore. Dimmi se sei felice o triste, se hai bisogno di parlare, io ci metterò tutta la compassione di cui sono capace. Ascoltiamo il nostro cuore, esploriamo la nostra anima e abbassiamo le barriere nei confronti dell’altro. Solo in questo modo ci ricorderemo di essere ancora degli esseri umani e non delle macchine che eseguono compiti. Aiutiamoci a non disperderci e a riconnetterci con il nostro centro.
“Per essere liberi bisogna avere tempo: tempo da spendere nelle cose che ci piacciono, poiché la libertà è il tempo della vita che se ne va e che spendiamo nelle cose che ci motivano”, così diceva José “Pepe” Mujica, famoso non solo per essere stato il presidente dell’Uruguay. Sappiamo tutti di aver bisogno di un diverso rapporto con il lavoro e la tecnologia; di un diverso approccio individuale, sociale e familiare. Se guardiamo in profondità, capiremo che ciò che desideriamo è una vita piena di significato e di umanità. Un’esistenza che valga la pena di essere vissuta. Da parte mia, voglio continuare a sporcarmi e ad annoiarmi come facevo da bambino. Camminare scalzo su un prato. Salire su un albero. E voglio fermarmi un momento, guardare negli occhi dell’amico che mi risponde “Sono molto occupato,” e dirgli: “Lo so. Lo siamo tutti. Ma io volevo sapere come stai”.
Questo numero di Febbraio lo dedichiamo ai nostri amici Animali: non perdetevi lo Speciale di quattro pagine a pag. 11. Buona lettura!
Risparmio e Auto-produzione: perchè sì?
Autoprodurre significa tornare a saper fare le cose con le nostre mani, riscoprendo, spesso, metodi di lavoro antichi. Si tratta a tutti gli effetti di una filosofia di vita, oltre che di un atto di rispetto per sè stessi e per il Pianeta. Perché ci fa bene? Perché è un modo di riappropriarsi del proprio tempo, di trascorrerlo liberando la propria creatività, che è in tutti noi, ma che spesso ha bisogno di essere stimolata ed allenata. A molti l’idea piace, però fatica a metterla in pratica, ad altri spaventa: a me, invece, crea dipendenza!
Sì, perché, una o due volte a settimana, mi diletto nella preparazione del pane con la pasta madre e dei germogli; almeno una volta al mese preparo il latte di soia o di riso (v. mio articolo pag. 14); occasionalmente mi avventuro nella fabbricazione della birra (spalleggiato da amici molto “interessati”), del dentifricio, del detersivo per la lavatrice… Per non parlare di altre trasformazioni legate alla campagna e alla stagionalità, come le marmellate, le conserve e il compost per l’orto. E, in questi casi, ogni mano in più diventa un regalo prezioso.
Di base, prima di acquistare, valuto con attenzione i miei bisogni reali, mi chiedo che cosa mi sia necessario per autoprodurre, per poi decidere in base alle mie possibilità. In questo modo, provo a spostare più in alto l’asticella dei miei usi e consumi, partendo dall’ingrediente base, piuttosto che puntare esclusivamente al prodotto finito.
Non c’è dubbio che la vita del volenteroso autoproduttore sia impegnativa: il tempo sembra non essere mai abbastanza, anche soltanto per cercare le informazioni, le soluzioni più in linea con le proprie aspettative (e budget), per non parlare della preparazione e dell’elaborazione. Produrre in casa costa fatica, ma è divertente e porta grandi soddisfazioni: ci si riconnette con il presente, si riduce lo spreco, l’inquinamento ed, infine, ci si emancipa, per quanto possibile, dal mercato, che ci vizia e stravizia con prodotti e servizi spesso inutili, provenienti da chissà dove e contenenti chissà che cosa.
E’ importante, poi, a mio parere, maturare e mantenere un atteggiamento positivo rispetto a ciò che si compie. Nella filosofia orientale si usa l’espressione karma yoga, ovvero quell’attitudine a compiere un’azione (o un lavoro, qualunque esso sia) godendosi l’attimo presente in cui si svolge, senza dare troppa importanza al risultato e ai frutti delle proprie azioni. È il cammino, il processo, ciò che conta di più. Quel saggio di Goethe, non certo di origine indú, scriveva che “non è importante fare dei passi che un giorno ci condurranno al fine, ognuno di questi passi deve essere in se stesso una meta”.
Non essere più dipendente dal supermercato, perché la zucca che cresce coltivata nell’orto grazie ai semi scambiati o conservati dall’anno precedente, è una possibilità reale, è una realtà concreta: significa aver già intrapreso una rivoluzione di indipendenza, di aver fatto la dichiarazione pubblica di non accettare il controllo dell’industria alimentare. Ma sono scelte, niente di più, niente di meno. Poi è chiaro, si potrebbe discorrere in pagine e pagine sul concetto di cittadino = consumatore, di emancipazione, di resilienza, di ribellione agli schemi e condizionamenti sociali, eccetera eccetera. Tutti discorsi che mi trovano profondamente d’accordo, ma sempre tesi a voler giustificare un qualcosa che, in concreto, ognuno di noi dovrebbe “sentirsi di fare”. La realtà è che, se provassimo a vivere tutti in modo più semplice e frugale, non ci ritroveremmo a vivere in un Pianeta che, ogni anno, perde settimane di vita rispetto all’anno precedente a causa dei cambiamenti climatici derivati dallo sfruttamento dissennato delle risorse naturali non rinnovabili.
L’evoluzione ci ha portato ad innalzarci dalla quadrupedia alla bipedia: allora usiamo le mani, per trasformare in meglio un mondo che non ci piace e che non ci rende felici. E proviamo ad impiegare il nostro tempo, ridotto all’osso, per diffondere, diffondere ed ancora diffondere, le buone pratiche quotidiane!
Natale Sostenibile:
dal sentimento di mancanza, alla percezione di abbondanza
Pur essendo nato all’inizio degli anni ’60, in pieno boom economico nella “grassa” e “rossa” Bologna, per una serie di sfortunate vicissitudini, la mia famiglia era povera fino al limite dell’indigenza e per ironia della sorte, vivevamo in affitto in un umido appartamento che aveva il solo discutibile pregio di essere ubicato in una delle zone più ricche ed esclusive della città. All’età di 6 anni, rimasto solo con mia madre e un fratello, iniziai a frequentare, come tutti i bambini, la scuola elementare. I miei compagni di classe erano quasi tutti pargoli della Bologna bene, figli di stimati professionisti e di ricchi commercianti o industriali.
A quell’età i bambini non si preoccupano della condizione sociale dei loro compagni di gioco e così io, “figlio di nessuno”, sono cresciuto insieme ai figli di uno stimato notaio, di un celeberrimo scienziato e di tante altre famiglie facoltose e prestigiose, finendo per essere in qualche modo “adottato” da esse.
Ai miei occhi di bambino, le grandi camere piene di giochi delle ville della collina bolognese, dove passavo molti pomeriggi a giocare con gli amici, non erano poi così diverse dal sottoscala dove mi ero ricavato uno spazio tutto mio e dove mi rintanavo quando non volevo condividere il tavolo con mio fratello o la malinconia con mia madre. Quello che rendeva realmente diversa un’allegra e colorata camera di un mio coetaneo dal mio buio sottoscala, era la grande quantità di “cose” che la riempivano.
Le “cose”, in prossimità del Natale, diventavano una vera e propria emergenza. Bambini che avevano tutto, iniziavano a chiedersi e a chiedere di cosa altro potevano “avere bisogno”, in un irreale sentimento di mancanza, che è diventato il “segno distintivo” di un’intera generazione: quella dei così detti “baby boomers”.
Ora i bambini sono diventati adulti, ma in gran parte sono rimasti adolescenti viziati e scontenti che, crisi o non crisi, non sono mai soddisfatti di quello che hanno. Che si tratti di case, auto, vestiti, oggetti di ogni tipo, o relazioni umane, chi non ha imparato a entusiasmarsi e a godere per i piccoli doni della vita non riesce ad essere felice e difficilmente chi non è felice, può rendere felice qualcuno o contribuire positivamente al benessere del Pianeta. Il Natale può essere un grande incentivo al cambiamento, ad allineare i nostri sogni ai nostri pensieri e alle nostre azioni. A lasciare il sentimento di mancanza per renderci sempre più consapevoli dell’abbondanza nella quale viviamo!
Ricordiamoci di tutto questo anche nel momento della scelta di un dono, che deve essere una scelta consapevole. Fare un regalo è prima di tutto un gesto di attenzione verso la persona che lo riceve, ma deve esserlo anche verso noi che lo scegliamo e verso l’ambiente.
In questo numero di Vivere Sostenibile Basso Piemonte, i regali che fanno bene a voi e alla Terra!
La gratuità è un dono dal prezzo infinito
“Signora tenga, è per lei”. “Quanto le devo?”. “Niente, si figuri, è una copia omaggio”. “Davvero?”. “Sì signora, proprio così”. “Beh, grazie… ma è proprio sicuro che non le devo nulla?!”.
Dialoghi dalla dinamica molto simile si sono ripetuti sovente in questi mesi in cui le prime edizioni di Vivere Sostenibile Basso Piemonte hanno fatto il loro debutto nei mercati e nelle manifestazioni del territorio. Da Tortona ad Alba, da Acqui Terme ad Asti, numerose persone si sono piacevolmente stupite nel ricevere la copia della rivista in omaggio. Viene da pensare che le persone non si aspettino più “niente per niente”, che vi sia sempre un’ombra da dover colmare, prima o poi. Viviamo, infatti, in una società che si chiude sempre più in se stessa, dove i beni di consumo tentano di sovrastare i beni relazionali. D’altra parte le forme di “economia del dono”, dallo scambio di semi al baratto, da Linux alle Banche del Tempo (v. pag. 9) sono viste con sospetto o ritenute eccentriche. Eppure, per noi come per la nostra Rete, il dono risulta qualcosa di normale nel suo essere speciale. Il nostro progetto editoriale è, per definizione, popolare, perché crediamo che i temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale debbano essere rivolti e resi disponibili a tutti i cittadini, senza distinzione di ceto sociale. Crediamo che tutti siano uguali, e che ciascuno di noi abbia il diritto ad accedere all’informazione. Lungi da noi cadere nell’ipocrisia, perché in questo periodo storico non è ancora possibile produrre una rivista senza denaro (anche se ci piacerebbe molto!): vi sono costi di produzione (redazione, stampa, grafica), di distribuzione e compensi che devono essere sostenuti. Il compromesso sta nell’offrire degli spazi pubblicitari, seguendo un’etica commerciale che va dal non superamento in pubblicità del 25% degli articoli, alla minuziosa selezione dei potenziali inserzionisti. Una pubblicità che riteniamo meritevole e virtuosa, che ha l’obiettivo di promuovere aziende che commercializzano prodotti e servizi che aumentino l’efficienza energetica, producano cibo sano, equo e solidale, riducano il consumo di risorse ambientali, stimolino l’autoproduzione, ecc. Ed infatti il nostro obiettivo è quello di rendere questo progetto editoriale sostenibile economicamente per poter svolgere la nostra missione, ovvero informare sui temi che ci stanno a cuore e dare voce alle realtà virtuose del territorio, soprattutto le più piccole.
Credo, allora, che la gratuità sia il punto di partenza per una convivenza civile e che ciò rappresenti un motore indispensabile per la ricerca del bene comune. Una condizione che va a pari passo con fiducia ed empatia, due elementi che gratificano ogni giorno il mio lavoro. Come scrive Serge Latouche, “il buon uso della vita presuppone che si (ri)trovi il senso dei limiti e il giusto valore delle cose, ovverosia il contenuto di natura e di umanità delle cose stesse”. Forse il grande errore è associare la gratuità al “gratis”, al non valore. In realtà la gratuità corrisponde ad un prezzo “infinito”, che la famiglia e la scuola dovrebbero tornare ad insegnare. Noi vogliamo provarci, come sta facendo Raphael Fellmer con il suo progetto di food sharing (leggi articolo apparso su Vivere Sostenibile Basso Piemonte n.2 di Ottobre, pag. 16), che lotta ogni giorno contro gli sprechi del cibo e per lo sradicamento delle logiche di mercato a favore di un consumo più responsabile. Perché l’auspicio è di restituire la nostra vita (e i nostri consumi) alla socialità, in uno scambio non più solo oggetto di calcolo monetario, ma scambio tra esseri umani. O prendete l’esempio di Solimarket, il progetto solidale della nostra Cooperativa Impressioni Grafiche: pochi (tanti!) gesti quotidiani che consentono, da alcuni anni or sono, di ri-donare vita ad oggetti sovrabbondanti per alcuni ma essenziali per altri.
E allora, amici e lettori di Vivere Sostenibile Basso Piemonte, quando vedrete una copia della rivista nella vostra città, prendetela e sfogliatela, e sappiate che avete tra le mani qualcosa che “non ha prezzo”.
Buona lettura di Novembre a tutti! Questo numero l’abbiamo dedicato alla Lettura e alla Contemplazione: il periodo autunnale è in pieno svolgimento, le giornate all’esterno sono sempre più rare, quindi concediamoci un meritato riposo all’interno delle nostre abitazioni, una bella lettura e qualche pratica di meditazione e di consapevolezza. E’ il mese ideale, approfittatene!
“Laudata” sia la nostra casa comune
il Papa dal cuore verde
“Ci vuole un’altra rotta, per contrastare la globalizzazione dell’indifferenza.
“Una cosa è certa, l’attuale sistema mondiale è insostenibile”.
“Serve una rivoluzione culturale”.
“No all’antropocentrismo deviato”.
“Difesa della natura”.
“Rinunciare ad investire sulle persone
per ottenere un maggior profitto immediato
è un pessimo affare per la società”.
“Rallentare il passo”.
“Ridefinire il progresso”.
“Tutelare la biodiversità”.
“Conversione ecologica”.Questo appello non proviene da un anarchico, da un obiettore di coscienza o da un sostenitore della Decrescita Felice… bensì da Papa Francesco, in occasione dell’enciclica dello scorso Giugno “Laudato si’. Enciclica sulla casa comune”. Dove per “casa comune” s’intende il nostro Pianeta, naturalmente. Un Pianeta minacciato dalla diseguaglianza sociale tra Nord e Sud, dal problema dei rifiuti, dal riscaldamento climatico, …
Non c’è che dire, il grido d’allarme di Papa Begoglio in difesa della natura, della Terra “sorella e madre” e dell’ecologia è una presa di posizione che ci riempie di gratitudine. Le sue sagge parole – espresse in pieno Expo 2015, laddove si dovrebbe parlare di come sfamare senza distinzioni la popolazione mondiale – risuonano come una benedizione per noi che, ogni giorno, combattiamo per un mondo più buono e giusto. Il suo messaggio ci fa ben sperare, soprattutto alla luce del miliardo e duecento milioni di credenti che, mossi dal suo invito coraggioso alla solidarietà universale, potrebbero dare una svolta consapevole ad un sistema che si è rivelato fallimentare e che ci sta conducendo al collasso ambientale, economico e sociale.
Che l’enciclica di Papa Francesco non sia letta solo come una semplice riflessione sull’ambiente ma anche come documento politico non mi è chiaro. Se lo farà, significa che avrà trovato terreno fertile in una società comunque fondata sugli abusi della tecnologia e dell’industria, sulle ineguaglianze sociali e sugli sprechi della globalizzazione. Infatti, pur avendo da subito suscitato delle reazioni nella politica internazionale, temo che i governanti attuali faranno fatica anche solo a battere le ciglia – perchè la nostra salvezza è comunque la “crescita”, questo è il mantra che ci propinano da decenni: sta quindi a noi, solo a noi, costituire quella massa critica per far sì che questo sistema possa davvero essere accantonato in favore di uno più attraente. Un sistema che preveda un’economia fondata sui principi dell’ecologia, dell’etica, del bene comune, della condivisione. All’interno del quale le persone possano sentirsi realizzate (felici!) consumando di meno, ma meglio. Dove “sobrietà” sia una delle parole d’ordine. Dove si possa andare oltre al mero utilitarismo del breve periodo. Un sistema fatto da tante piccole azioni quotidiane, tante gocce nel mare, che trasformino i problemi in soluzioni. Crisi come opportunità. “Cominciate col fare tutto ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile” (San Francesco d’Assisi). Qualcuno parlerà di idealismo, altri di utopia. Non è facile “cambiare il mondo”, il sistema attuale non ci vuole felici, perchè saremmo finalmente liberi di sovvertirlo. “Una persona felice vuole vivere in mezzo ai fiori e di poesia e musica. Perchè dovrebbe interessargli andare in guerra a farsi uccidere o uccidere lui stesso?” diceva Osho. Con un po’ di responsabilità e di coraggio in più, metà del lavoro sarà compiuto. E se servirà un miracolo… “Laudato sì, … mio Signore!”.Un augurio di buona lettura del mese di Ottobre a tutti! In questa seconda edizione trovate lo Speciale Benessere Corpo & Mente, da non perdere! P.S. D’ora in avanti usciremo ogni mese! Seguiteci!
Un Sogno diventato Realtà
Quando ho deciso di lanciare il progetto Vivere Sostenibile Basso Piemonte, era il Novembre scorso e mi trovavo in Provenza: in viaggio l’apertura mentale è maggiore e questo deve avere avuto la sua influenza. “Mantenetevi folli e comportatevi come persone normali”, scriveva in un suo libro Paolo Coelho. Bene, so di esserlo, folle. Ma di questi tempi non c’è altra scelta, credetemi: per scoprire il proprio potenziale e porsi obiettivi ambiziosi, bisogna andare oltre gli schemi prestabiliti, se si vogliono ottenere grandi risultati. Da quel Novembre francese ho costituito un cantiere di lavoro: centinaia (migliaia?) di email, telefonate e incontri per presentare il progetto ed ottenere collaborazione e sostegno. Smessi, quindi, i panni del “lupo della steppa” di Hermann Hesse, mi sono dato da fare, concentrando in un circolo virtuoso e costruttivo il mio desiderio (esigenza) di ribellione nei confronti di una vita spesso insipida e troppo (a)normale. Ho cercato, allora, di mantenere una lucidità nuova, quasi zen, cercando di non farmi eccessivamente coinvolgere né dai pareri depressivi (non sarei arrivato a questo punto), né da atteggiamenti ultra-entusiasti (avrei perso il suolo sotto i piedi). Così eccomi adesso, in questo preciso istante, a scrivere il mio primo editoriale: Vivere Sostenibile Basso Piemonte è un sogno diventato realtà! E’ un piccolo punto di arrivo, il “primo numero” è qui, stampato: ma molto deve ancora venire, tutto è ancora da realizzare. Da subito mi sono innamorato di questa rivista, tanto semplice quanto speciale: quello che avete tra le mani è un giornale gratuito in carta riciclata, come ce ne sono tanti in giro. Ma dietro a questo giornale vi sono idee e obiettivi molto chiari. Innanzitutto, al suo interno, troverete poco green washing e tanto positive thinking. E poi vi sono persone che hanno sposato un progetto e che vogliono sentirsi parte di una comunità e portare avanti dei valori che vanno al di là dell’aspetto monetario. Sono – siamo – persone, magari di generazioni diverse, che sentono il comune intento di fare qualcosa di concreto per migliorare se stessi e la società in cui vivono. Da qui la nascita di una redazione di specialisti, di professionisti o semplici appassionati, che contribuiscono con il loro operato, a titolo volontario. Il progetto Vivere Sostenibile, nato nella progressista Bologna ed esteso anche nel territorio di Alessandria, Asti e Cuneo, vedrà tanti potenziali“cittadini consapevoli” coinvolti in un progetto volto a ricreare un “senso di appartenenza” alla propria comunità, che non può prescindere dalla comunicazione tra le persone, le istituzioni, le imprese e le associazioni del territorio. E allora, cari lettori e care lettrici (che emozione!), troverete il mensile Vivere Sostenibile, tabloid free-press, in fiere, feste, eventi, mercatini contadini, nelle biblioteche e nei centri sociali, oltre che nei negozi e nelle aziende che aderiranno al progetto: sfogliatelo e diffondetelo. Prendetevi il tempo per gustarvi una buona lettura. Insomma, dateci una mano a cambiare questo sistema, creandone uno più attraente; aiutateci a costruire una società più sostenibile, dove si coltivino valori veri, dove si abbia un rapporto più rispettoso con la Natura e con le Persone.
Grazie